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I canali con cui ci rapportiamo al mondo del design possono influenzare il modo in cui comprendiamo questa disciplina. I formati digitali possono offrire una breve panoramica o un'introduzione a un prodotto o a un designer, mentre gli eventi dal vivo come il Salone del Mobile rappresentano un momento per vedere e testare in prima persona la materialità delle nuove collezioni. Tuttavia, il formato del film documentario è diventato sempre più spesso uno strumento importante con cui il pubblico può interagire con le persone, i processi e le storie del design, creando legami emotivi e duraturi.
Il Teatro del Mondo di Aldo Rossi, ad esempio, è uno dei progetti più significativi della storia del design contemporaneo. Commissionato nel 1979 per la Biennale di Venezia, il teatro galleggiante alto 25 metri offriva una vivida evocazione della città, della sua storia architettonica e delle sue tradizioni culturali, presentate attraverso il linguaggio progettuale super-stilizzato di Rossi. Come ricorderà in seguito Paolo Portoghesi, direttore della Biennale:
“Un'opera effimera come quella, che ha fatto il giro del mondo sulle riviste, è stata una sorta di miracolo.”
Tuttavia, nonostante l'ampia documentazione cartacea dell'evento, sono i filmati d'archivio che forse catturano più accuratamente l'essenza del progetto di Rossi, con la città stessa di Venezia che diventa lo sfondo del suo arrivo teatrale. Sequenze sgranate girate a mano mostrano la struttura di legno gialla e blu comparire lentamente, come una visione attraverso la nebbia del primo mattino, trainata a Venezia fino all'ormeggio (a Punta della Dogana) dove sarebbe stata presentata per i mesi successivi.
Questo filmato è presente nel recente documentario Aldo Rossi Design, diretto da Francesca Molteni e Mattia Colombo, che esplora la vita dell'architetto e le connessioni che i suoi progetti hanno agevolato tra design, oggetto e architettura. Il film, che presenta interviste a personaggi importanti della vita personale e professionale di Rossi, è intervallato da materiale d'archivio e da scene contemporanee girate durante l'allestimento di una mostra retrospettiva sull'architetto al Museo del Novecento di Milano nel 2022.
Il progetto è sempre stato il sogno di Francesca Molteni, nipote dei fondatori di Molteni&C Angelo e Giuseppina Molteni.
“Da tempo avevo in mente di fare un film su Aldo Rossi,” dice. “Era molto vicino alla storia della mia famiglia, attraverso i mobili che ha prodotto con noi, ma anche il tempo personale che abbiamo trascorso insieme a Venezia, all’Isola d’Elba e altrove. La mostra è stata l’occasione per concretizzare queste idee, per aiutare le persone ad apprezzare meglio alcuni degli oggetti esposti e a capire la persona che li ha realizzati.”
Lo stesso Rossi era interessato al cinema da tempo. Nel film, la sua compagna di lunga data Ludovica Barassi ricorda che una volta aveva l'ambizione di diventare un regista cinematografico, nel caso in cui la carriera nel design non avesse funzionato. A questo proposito, è forse un peccato che Rossi abbia lavorato a una sola produzione cinematografica, il documentario Ornamento e Delitto prodotto per la Triennale di Milano nel 1973 – un collage un po’ triste e sperimentale di scene architettoniche della periferia milanese, unite a estratti narrati dell'omonimo testo, molto influente, di Adolf Loos del 1913.
La storia dei documentari di architettura e design risale però a molto prima, agli anni Trenta. Un ottimo esempio è il film muto L'Architecture d'Aujourd Hui (L'architettura di oggi), uno studio degli edifici recentemente completati di Le Corbusier, mostrato insieme alle immagini dell'architetto svizzero mentre disegna nel suo studio. Il filmato fu proiettato in programmi di cinegiornale durante il pre-lungometraggio nelle sale cinematografiche di tutta la Francia (a volte accompagnato da una registrazione su grammofono della Rhapsody in Blue di George Gershwin), prima di accompagnare Le Corbusier nel suo tour di conferenze negli Stati Uniti nel 1935.
La rappresentazione del processo creativo rimane oggi un approccio comune alla realizzazione di documentari. Film come Objectified (2009) di Gary Hustwit, con Naoto Fukasawa, Jony Ive ed Erwan Bouroullec, e Sketches of Frank Gehry (2006) di Sydney Pollack, permettono di svelare sullo schermo il rapporto spesso complicato tra progettazione e realizzazione. Come suggerisce il titolo del film di Pollack, la mano di Gehry è presente in tutto il film, mentre l'architetto spiega l'impegnativo viaggio dai disegni originali alle successive iterazioni progettuali, gesticolando tra lo schermo del computer e i modelli nel suo ufficio un po' disorganizzato, esclamando:
“Andiamo costantemente avanti e indietro tra i modelli e i disegni, perché se uno non funziona, l’altro non funziona!”
Secondo Molteni, Rossi "viveva la vita materialmente attraverso i suoi disegni e le sue idee per la realizzazione." Pertanto, i contributi al suo film di Alberto Alessi, incaricato di produrre le idee di Rossi per gli oggetti per la casa in metallo, e di Bruno Longoni, con il quale Rossi realizzava mobili, offrono approfondimenti unici sui processi di progettazione e sulla natura della collaborazione. Ma il film è anche toccante – il che non sorprende, vista la prematura scomparsa di Rossi nel 1997 all'età di 66 anni - con i contributi, i ricordi e le memorie che creano un ritratto intimo dell'architetto e del suo studio. Una risposta emotiva e umana che forse solo un film documentario avrebbe potuto ottenere.
Sono soprattutto i filmati d'archivio a far sentire maggiormente l'assenza di Rossi, dalle scene di vita quotidiana che lo vedono passeggiare a Milano ai momenti più formali, come la cerimonia di consegna del Premio Pritzker del 1990 a Palazzo Grassi a Venezia, in cui divenne il primo italiano a ricevere il prestigioso premio di architettura. L'inclusione di questo materiale era fondamentale per la narrazione del film, spiega Molteni, ma è stata anche una decisione stilistica.
“Ci è piaciuta la sensazione della vecchia pellicola, la qualità VHS," dice. "Anche se è possibile ripulire i vecchi filmati, abbiamo deciso di non utilizzare software per migliorarne la qualità. Volevamo mantenere quella patina che evidenzia il fatto che questi eventi sono accaduti nel passato." Anche se la qualità del filmato di Palazzo Grassi non è buona, è molto commovente. È un momento che è passato.”
Per lo spettatore, questo passaggio dalla moderna pellicola digitale ai formati più vecchi crea un immediato cambiamento cognitivo e cattura uno degli elementi essenziali del cinema documentario. Offre un incoraggiamento a studiare più da vicino le scene mentre si svolgono, forse con l'aspettativa che siano rare o inedite.
La morte nel 2013 dell'architetto Fabrizio Fiumi (membro fondatore dell'avanguardistico Gruppo 9999), ad esempio, ha portato la figlia regista Elettra a scoprire tra i suoi averi delle scatole di filmati amatoriali precedentemente sconosciuti. Studiando le bobine, girate in Italia e in America negli anni '70 e '80, Elettra ha intrapreso un viaggio molto personale, scoprendo la vita e gli anni formativi del padre e la scena architettonica radicale che ha contribuito a creare. Il film che ne è scaturito, Radical Landscapes (2022), dimostra come i cambiamenti nella tecnologia di consumo possano amplificare la natura fragile delle vite viste sullo schermo - ricordi di persone che ormai vivono in tecnologie obsolete.
Sono queste qualità emotive e al tempo stesso tecnologiche, unite all'abilità del regista nel creare una narrazione suggestiva da fonti disparate, che dimostrano la capacità unica del documentario di coinvolgere su più livelli. E poiché la velocità di produzione e fruizione dei video aumenta sempre di più sui social media, è forse rincuorante sapere che i formati dal ritmo più lento rimangono popolari e che il pubblico è desideroso di saperne di più sulle storie nascoste o non raccontate dal mondo dell’architettura e del design.
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