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2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick ha inizio nella preistoria. Una tribù di ominidi simili a scimmie grugnisce e saltella nel veldt. A poco a poco notano la presenza del monolite: un’alta sottile roccia nera a metà tra una pietra tombale e un gigantesco iPod. Via via si calmano, si avvicinano all’oggetto misterioso e cominciano a toccarlo. Oltre il bordo dell’oggetto vediamo sorgere il sole. Poco dopo le scimmie hanno imparato come utilizzare utensili e armi, mentre seguono il percorso evolutivo dell’umanità. Quando più tardi nel film fanno la loro comparsa due altri monoliti, l’effetto è altrettanto drammatico. Questo monolite resta un mistero. Gran parte del suo potere deriva dal suo aspetto: dritto, liscio, uniforme, intero e completo in se stesso.
Kubrick, sempre molto attento ai dettagli, ha prestato particolare attenzione a questi monoliti. In questo senso è uno dei tanti stregati dalla figura monolitica – ossia da oggetti formati da un unico blocco di materiale. Spesso questi oggetti sembrano essere qualche cosa di organico e, in effetti, esistono monoliti naturali. Il più grande è Uluru, l’impressionante formazione di arenaria rossa nel centro dell’Australia, con un perimetro di circa 9 chilometri. L’unicità di Uluru ne ha fatto un luogo simbolo nella mitologia degli aborigeni, la dimora degli atavici spiriti creatori.
É facile comprendere come l’essere umano fin dall’antichità possa aver sempre coltivato l’aspirazione a creare propri monoliti. Le più antiche strutture monolitiche esistenti furono scavate nella roccia. Per lo più, come nel caso delle chiese di Ivanovo in Bulgaria, sono scavate nelle pareti rocciose e sembrano delle caverne. Ma alcune, tra cui le impressionanti undici chiese monolitiche a Lalibela in Etiopia, sono strutture interamente scavate nella pietra, con pareti, finestre e tutto il resto. Sono state realizzate all’epoca di un sovrano medioevale che voleva dar vita a una nuova Gerusalemme.
L’incredibile difficoltà di creare monoliti di questo tipo significava che sarebbero comunque rimasti qualche cosa di anomalo, tuttavia lo sviluppo del calcestruzzo agli inizi del XX secolo ha offerto agli architetti la possibilità di realizzare strutture mono-materiale che danno l’impressione di essere monolitiche. Uno dei primi tentativi fu messo in atto dall’inventore Thomas Edison, che nel 1908 progettò case in getto di calcestruzzo. I mobili dovevano essere realizzati con un nuovo calcestruzzo più morbido ideato dallo stesso Edison. Non ebbero successo.
Nel periodo dopo la guerra le cose cambiarono mentre gli architetti cominciavano a studiare la propensione del calcestruzzo a realizzare forme senza soluzione di continuità, uniformi, su livelli di scala inauditi fino a quel momento. Gli esempi sono infiniti. Oscar Niemeyer realizzò una enorme cupola autoportante ad Algeri, punteggiata solo da una fila di piccoli lucernari e ingressi circolari. Il Centro Roberto Garza Sada di Tadao Ando a Monterrey, Messico appare come scolpito in un unico blocco di calcestruzzo e sembra un vero e proprio scavo. E il Four Freedoms State Park di Louis Kahn a New York dà l’impressione di essere ricavato dalle rocce dell’isola su cui poggia.
Tutti questi edifici hanno un tratto scultoreo, come se fossero stati scolpiti da un artista piuttosto che realizzati da costruttori edili. Evocano un senso di permanenza, come i monoliti naturali a cui assomigliano. E da essi emana un senso di purezza estetica, priva di qualsiasi irregolarità e sporgenza non uniforme. In questo senso sono l’opposto dell’architettura high-tech, come il Centre Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers, il cui interno si allarga sulla strada per essere visto da tutti. I monoliti invece sono chiusi in se stessi e misteriosi. I loro meccanismi sono nascosti.
Oggi l’estetica dell’oggetto monolitico è andata ben oltre l’architettura per arrivare al design di interni e del prodotto. L’affermarsi di processi di produzione come lo stampaggio a iniezione e la continua miniaturizzazione tecnologica, hanno reso più immediata la creazione di questi progetti, consentendo di ottenere facilmente oggetti che sono pure sculture: è quello che l’architetto e designer del XX secolo Eero Saarinen avrebbe definito “totale strutturale”. In nessun altro caso queste idee sono più evidenti come nel lavoro della Apple, che spesso ha scelto un design “a corpo unico” per il suo hardware. Dal 2011 i suoi computer portatili MacBook Pro sono il risultato di un compromesso tra due involucri di alluminio, uno che contiene lo schermo e l’altro che contiene la tastiera e l’elaboratore interno. Senza elementi di collegamento o hardware operativo visibili, il computer sembra funzionare per magia.
È questo senso di magia e di meraviglia che ci affascina ogni volta di fronte a un monolite. Tuttavia, mentre i materiali sintetici hanno semplificato la creazione di questi oggetti, resta però il mondo dei materiali naturali in cui il monolite è ancora più affascinante. In un nuovo progetto di cucina sviluppato da Vincent Van Duysen per Molteni&C, per esempio, uno spazio domestico familiare viene ancora una volta rinnovato. Nel progetto di Van Duysen tutto lo spazio sembra sbozzato da un unico blocco di marmo, ma con dentro tutta la funzionalità possibile. Uno spazio bello, scultoreo, e apparentemente impossibile. Le scimmie di Kubrick ne sarebbero state ancora una volta affascinate.
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