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Le linee rosse dialogano e si rincorrono. Tra i cordini delle poltrone, la trama dei velluti, l’interno del tavolino. L’impaginazione si fa serrata stretta e claustrofobica, nel troppo pieno del Bagatti Valsecchi, nel tanto scuro degli arredi e degli oggetti – armature, scudi, arazzi, vasi, mobili, credenze, tappezzerie, armadi, letti, scansie, quadri, libri – nella spoliazione della vita in quel luogo sopravvissuto.
Poi nelle geometrie del pavimento, nei dialoghi tra le forme i colori e i materiali, nella satura densità delle stanze, lo sguardo incontra il vuoto. Un vuoto apparente, un vuoto ordinato e geometrico, un vuoto chiuso su due lati, forse un pieno diverso. C’è un elemento domestico a ricordare che la casa museo di oggi, abitata solo da reperti visitatori e guardiani, è stata una casa. Così proprio quell’opera che si fa intima, forte precisa e radicale nella sua forma scarna e quasi archetipica, è il dispositivo di una vita improvvisa che arriva nello spazio.
È un tratto gentile e rigoroso sul limitare di insidiose venature quello che rompe gli algidi e fragili equilibri della casa, a dispetto di un sentiment maschile e duro degli interni. È uno sguardo nuovo, un imprevisto lieve e spiazzante, e definitivamente allora niente sarà più come non è mai stato.
Davide Pizzigoni Milano, 1955 e un artista poliedrico, pittore, scenografo, fotografo e designer. Vanta collaborazioni prestigiose con importanti istituzioni europee come il Teatro dell’Opera di Zurigo e lo Staatsoper di Vienna, e con marchi prestigiosi del mondo della moda, dell’editoria e del design. Progetta e realizza scenografie per programmi televisivi dedicati al mondo dell’architettura e del design
Ha tenuto mostre personali a Milano, Roma, New York, Tokyo e Osaka. Dal 2008 lavora sul tema degli invisibili su tre almeno direttrici: I Guardiani dei musei, Gli Uomini del XXI secolo, La forma del vuoto.
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