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Apr 2010
Maria Perosino
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Prolifico e personalissimo autore e attore teatrale, Alessandro Bergonzoni ha al suo attivo 12 spettacoli, innumerevoli libri, trasmissioni radiofoniche e collaborazioni editoriali.

Aldo Bonomi è un sociologo. Tra i più acuti osservatori delle trasformazioni che attraversano il sistema socio-economico italiano, ha fondato e dirige il Consorzio AASTER. È direttore della rivista “Communitas” e cura la rubrica Microcosmi su “Il Sole 24 Ore”.

E' in retromarcia il viaggio che Sandro Bergonzoni ci obbliga a fare quando gli si chiede cosa sia, e significhi, per lui la qualità. Sono arrivata pensando di parlare di parole, ci siamo ritrovati a parlare di etica, di essenza, persino di anima. E infine di necessità.

Mette subito in chiaro. Se dovessi scrivere la definizione per un dizionario, alla parola qualità toglierei la q, la u, la a, la elle, la i, la t e la a e andrei a cercare altre lettere, invertirei il tema alfabetico. Metterei: ci scusiamo con i lettori, stiamo ristrutturando il concetto di qualità. La conversazione avviene nello studio.

Un grande loft abitato dalla sua voce ma anche da un’infinità di oggetti: bozze e abbozzi del suo lavoro artistico, opere finite, opere pensate. E i sedimenti di un’attività industriale, quella che un tempo aveva avviato suo padre. Pezzi che entrano e escono dalle sue opere, che sono diventati parte di una grammatica che vive nelle sue parole e nelle sue mani. L’intelligenza delle mani, l’artigiano della voce, dell’occhio. Tutta questa artigianalità non nasce da se stessa, ma da una qualità interiore e ulteriore. Eccoci al punto: la qualità è faccenda che ha a che fare con l’etica, per questo, inevitabilmente, oggi necessita di riscritture. Meglio, di un ritorno alle origini. Che sono, anche, le origini dell’uomo, o almeno del suo essere partecipe di un corpo sociale. Bergonzoni mi spiazza, lascia poco spazio al gioco, il discorso lo prende sul serio, subito.

La qualità potrebbe essere un evento culturale, un avvenimento, una necessità e quasi un’essenza. Ma dubito che con queste lune, potremmo parlare anche della qualità della luna, sia possibile arrivare a distrarla un attimo dal concetto produttivo. Non che io odi il concetto produttivo, io odio il solo. Oggi la parola qualità è diventata semplicemente un aggettivo, e questo, secondo me è causa della sua devastazione.

Vorrei fare qualcosa di più destabilizzante, parlare della qualità come di qualcosa costantemente da ricercare e costantemente in movimento. E dipende dalla tua qualità interiore non riceverne solo i vantaggi ma i messaggi.
Oggi la parola qualità è diventata semplicemente un aggettivo, e questo, secondo me è causa della sua devastazione. Vorrei fare qualcosa di più destabilizzante, parlare della qualità come di qualcosa costantemente da ricercare e costantemente in movimento. E dipende dalla tua qualità interiore non riceverne solo i vantaggi ma i messaggi. Le vicinanze a questa parola vorrei fossero di altro tipo: antropologico, intellettuale, mi vien da dire spirituale. Ecco il punto, la qualità non si appiccica, si origina prima. Richiamerei il tema della qualità a prescindere dall’oggetto cui si avvicina. Qualità di partenza, come genesi, come origine, come fonte. Non solo la qualità dell’ottenere: un buon prodotto, un buon spettacolo, libro, opera, macchina, divano.

Mi chiedo invece: qual è la qualità che ti muove?


Prima ci stanno le qualità di un uomo, poi quelle di un prodotto. Una qualità dell’intelligenza che viene prima, anche se poi la introduce, dell’oggetto che presenti. Anche quando si tratta di un quadro, una scultura, un’opera lirica, uno spettacolo teatrale. Il tema della qualità troppo spesso è abbinato al fidatevi, alla fiducia, al ‘sappiate che non sbagliate’, che ‘andate sul sicuro’. E’ anche una necessità.

Non ci si può fermare al design della parola, con tutto il rispetto per il design. Occorre andare all’essenza. Un industriale non può essere uno che si limita a sponsorizzare l’arte, a favorirla. La cultura è una fonte di energia, con cui instaurare uno scambio affettivo. C’è bisogno di affetto tra prodotto e cultura, di affetto, non di affezione o infatuazione. Quando parliamo di produzione italiana invece parliamo sempre di PIL, e poi secondariamente di arte, cultura. Non c’è mai misurazione del prodotto INTERNO, solo di quello lordo. E’ un viaggio, quello che ci obbliga a fare, che non consente scorciatoie: si deve partire dalla qualità d’origine per arrivare alla qualità del prodotto. Un viaggio tortuoso che ha lui stesso percorso quando ha iniziato a scrivere con la mano sinistra. Voleva dire tornare all’elementarità, non nel senso di scuola elementare ma di elemento. Un ritorno alla prima volta per trovare una distanza, un allontanamento. Qualcosa che fa tornare a essere primitivi e da molti sensi in più, non dando nulla per scontato. Oggi tocca a noi. Dobbiamo ritornare all’anima dei termini, non alla loro fluorescenza, non fermarci all’involucro esterno. Stiamo usando lo scalpello come il calzascarpe.

Lo scalpello serve per scolpire, ma noi lo stiamo usando per altre cose, magari anche divertenti, carine, ironiche. Non tutto può essere parodia della vita. La qualità è qualcosa da prendere sul serio, anzi alla grande, perché sul serio sembra sempre serioso. Parlo del grande, dell’immenso e dell’enorme. Dovrebbe essere sinonimo di grandezza, invece è sinonimo di sicurezza, fiducia. Oggi i miti sono diventati miti, cioè i miti sono le persone miti. Non ci si può rassicurare dell’idea di un prodotto se non si ha dentro l’idea dell’anima di quel prodotto. A prescindere dall’utilità e dal benessere che porta. Sempre: che si parli di mobili, di immobili, di automobili.

Aldo Bonomi come sta cambiando l’idea di qualità?


Il concetto di qualità è in mutazione. Stiamo asssitendo a un passaggio epocale, quello dalla logica produttiva ed economica della catena del valore basata sul rapporto capitale/lavoro, alla ragnatela del valore che significa inserire la qualità in un processo ampio. E’il passaggio dal fordismo al postfordismo, dall’economia delle nazioni all’economia globale.

Chiunque oggi voglia avviare un’attività produttiva deve saper incorporare nella ragnatela del valore, che esce sempre più dalle mura dell’impresa, la centralità dell’utente finale. L’idea di qualità si gioca su un terreno nuovo, sul saper interpretare i segni, i significati e il senso dell’essere consumatori. In queste dinamiche tendenzialmente ce la fanno le imprese con reti lunghe, e quindi dagli arazzi di Mantova all’automobile, l’artigianità è divenuta condizione necessaria ma non più sufficiente per competere. Questo concetto ha stravolto sia la produzione di serie che quella di qualità, e impone di saper concepire prototipi mentali.

Vedo una figura nuova, quella del com-artigiano, dove il com è la capacità di saper vendere oltre che produrre con innovazione, ma sta anche per .com, che significa stare sui flussi e le nuove forme della vendita, ma ancora sta per comunicazione, l’indispensabile presupposto per posizionare qualsiasi prodotto o servizio nel mercato delle relazioni, e sta infine per comunità, un ancoraggio ineliminabile, quale che sia la comunità di riferimento, da quelle globali a quelle territoriali, a quelle temporanee che nascono su singole progettualità.
Tutti i brand, compreso il mondo del lusso, si misurano con la necessità di intercettare il consumatore, che non è un consumatore di merci ma l’attore di un consumo personalizzato.

La crisi attuale quali complessità porta all’idea di qualità?


Partiamo da un dato: il capitalismo è in crisi. Abbiamo assistito alla crisi del petrolio che ha toccato la categoria del movimento; alla bolla della new-economy che ha messo in discussione la capacità di memoria e di relazioni; quest’ultima crisi, di impatto profondo, tocca l’antropologia del quotidiano, l’abitare e il consumare a prestito. E’ una crisi cognitiva e antropologica, che costringe a ripensare il ruolo delle persone nel mondo. Per questo la sua uscita è basata su una concezione nuova che è quella della green economy nella quale si consuma e si produce alla luce della qualità della vita, dove la centralità è il buono oltre che il bello.

Oggi il lusso è sobrietà, è valori. I beni rari e d’avanguardia saranno quelli che contengono e comunicano sobrietà: questo sembra essere il nuovo stile, e qualsiasi merce dovrà incorporare questo valore. E’ un passaggio che fa invecchiare all’improvviso imprese e imprenditori che fino a qualche anno fa erano riferimenti, fa emergere con evidenza una certa obsolescenza dell’idea di qualità e anche della sua percezione, e definisce nuove leadership. Vivere nella ragnatela del valore e nella green economy significa ripartire dalla cultura del limite e della sobrietà, ma questa trasformazione per essere credibile dovrà avvenire a monte e con coerenza, non come prodotto a valle.

Cosa significa per una moderna impresa interpretare la qualità attesa?


Significa cambiare cultura, concezione del marketing, qualità della consulenza con servizi terziari che si incorporano nell’impresa. Significa che le merci devono avere un valore aggiunto di comunicazione e rappresentazione. Anche il ruolo del capitale umano cambia. Non è più centrale solo quello dentro e vicino alle mura – frutto di saperi contestuali che vengono dalla storia dei distretti e dei territori, e di saperi formali ad alto valore aggiunto - vorrei dire che vince chi ha più legionari, e chi ha i migliori legionari. Chi sono i legionari? Sono i prodotti di processi informali che sanno muoversi, forti di diverse prossimità, nelle dinamiche globali. Sono quelle persone capaci di presidiare con i loro saperi la ragnatela del valore. Figure che partono dai contesti ma li superano perchè sanno accumulare e moltiplicare il capitale relazionale.

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